Le carceri in Italia
Analisi dei principali problemi e qualche soluzione
INTRODUZIONE
L’Italia è uno dei paesi con più alto tasso di sovraffolamento nelle carceri nell’Unione Europea, pari al 107,4%, dietro a Cipro, Belgio, Grecia e Romania, secondo la fondazione Antigone, ossia l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale e dalla quale son state prese la maggior parte delle informazioni per quest’articolo.
Il numero totale dei detenuti in Italia ammonta a poco più di sessanta uno mila unità, mentre la capienza regolare totale di tutti gli istituti italiani risulta solo poco più di cinquanta mila unità e, come se questo non bastasse ad aggravare la situazione, è il sistema carcerico-centrico che pare essere indietro anni luce rispetto a riforme ispirate ai concetti di rieducazione e decarcerizzazione, presenti in altri paesi dell’Unione Europea, come in Svezia.
Perché parlarne ora, quando in Italia sono da anni presenti queste condizioni disumane? Perché Strasburgo ha messo nuovamente l’Italia sotto accusa,per come vengono gestite le carceri italiane, a seguito del contenuto stilato dal Cpt, ossia l’organo antitortura del consiglio d’Europa, portando anche alla sospensione di 23 agenti penitenziari per reato di “tortura di stato”. I detenuti vengono pestati attraverso calci, pugni e accoltellamenti, sono minacciati e questo, spesso, ha portato al suicidio, motivo per cui negli ultimi anni sono aumentati, come si può notare dal grafico dell’Antigone.
CAPITOLO PRIMO: Il sovraffollamento
Il fenomeno del sovraffollamento nelle carceri è più complesso e articolato di quel che si potrebbe essere portati a pensare, nonostante il dibattito sia tornato caldo con la comparsa della pandemia, a causa delle numerose rivolte avvenute nelle carceri per le misure restrittive adottate dallo stato, è una situazione che accompagna la repubblica italiana sicuramente dagli anni 90 in poi.
In questo primo capitolo proveremo dunque a fare un breve riepilogo dei fatti che ci hanno portato alla situazione attuale, il tutto partendo dai dati.
Come possiamo notare dal grafico, in cui viene presa in considerazione solo la popolazione carceraria totale, sono evidenti due “variazioni” importanti, una nel 2006 e una nel 2013, entrambe le date corrispondono a due importanti leggi approvate dal governo Prodi II, per la prima e dal governo Letta la seconda, parliamone:
LEGGE 31 luglio 2006, n. 241 - si tratta sostanzialmente di un indulto, recita infatti: ”E' concesso indulto, per tutti i reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2006, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive”, per indulto intendiamo un condono verso la pena prevista, ma senza la cancellazione del reato.
Dal grafico possiamo notare 2 cose in merito all’indulto del 2006, la prima è che effettivamente, in maniera anche piuttosto scontata, dopo l’indulto notiamo un calo repentino della popolazione carceraria totale, e quindi una minor pressione a livello di sovraffollamento, passiamo dai 59’523 del 2005 ai 39’005 del 2006 (ricordiamo che tutti i dati del grafico sono presi al 31 dicembre dell’anno), ma possiamo anche notare come l’effetto dell’indulto sia stato temporaneo, notiamo come già nel 2008 ritorniamo quasi a livello 2005 e per poi superare la soglia nel 2009 e ancor più nettamente nel 2010, dove arriviamo a 67’961.
Il DECRETO-LEGGE 1 luglio 2013, n. 78 - ha una storia un poco più complessa: è stato un decreto in risposta alla “sentenza Torreggiani” di cui parleremo in maniera approfondita nei capitoli successivi, per ora ci accontenteremo di semplificarla descrivendola come un incoraggiamento nei confronti dell’italia ad intervenire per ridurre il numero dei detenuti nelle carceri da parte della Corte Europea dei Diritti Umani.
Il decreto, come riporta il XIV rapporto della fondazione antigone “reca una serie di disposizioni volte ad attivare un meccanismo virtuoso di decarcerazione di soggetti di non elevata pericolosità”.
E’ soprattutto a quest’ultima manovra che dobbiamo l’essere passati da un tasso di affollamento a fine 2010 del 151% al 107,4% di fine 2021, ma ancora, la situazione è più complessa.
l grafico in questione ci mostra i tassi di sovraffollamento regione per regione, riuscendo così ad approfondire il dato del sovraffollamento medio, perché notiamo come, se in alcune regioni come Toscana e Sicilia, abbiamo tassi di sovraffollamento accettabili, in altre come Puglia o Lombardia, la situazione è alquanto diversa.
Il Tasso di sovraffollamento medio è sì un fattore da tenere in considerazione, ma poco indicativo della reale situazione di alcune zone d'Italia.
CAPITOLO SECONDO: dentro il carcere
Abbiamo provato ad analizzare, nel primo capitolo, la situazione sovraffolamento nelle carceri e alcune manovre che hanno provato a contrastare questo fenomeno, andiamo ora a vedere qual è la situazione concreta nelle carceri e proviamo a capire perché il fenomeno del sovraffollamento è un problema.
La prima questione che andiamo ad analizzare è quella strutturale in senso stretto, ancora una volta, ad aiutarci è la fondazione antigone.
Dal suo XVIII rapporto emerge, attraverso un'indagine svolta che ha coinvolto 96 istituti su 189 totali, come la condizione generale dei carceri italiani presenti numerose criticità.
In primis viene evidenziata l’età delle strutture stesse, possiamo leggere infatti “Il 39% di tutti gli istituti visitati nel 2021 è stato costruito prima del 1950, il 26% prima del 1900(...) che presentano limiti notevoli sia dal punto di vista degli spazi detentivi che da quello degli spazi comuni o per le attività”.
La seconda questione presa in considerazione dall’indagine riguarda la struttura stessa della cella.
Il grafico evidenzia due fattori di grande rilevanza. Innanzitutto possiamo notare che nel 25% delle celle visitate non sono garantiti almeno 3mq di spazio calpestabile per persona e che nel 5% il wc non è in un ambiente separato alla zona dove i carcerati vivono, ma in un angolo dello stesso.
Questa condizione di degrado, risulta alienante per i detenuti e non solo è una delle cause che contribuisce al fallimento dell’obiettivo primo del sistema penitenziario ovvero la rieducazione, ma anche, come riportato da una psicologa intervistata durante un indagine svolta dall’International journal of environmental research and public health, alla formazione di nuovi criminali.
La seconda questione che andremo ad affrontare riguarda le guardie e il personale addetto alle carceri.
Rimanendo in un’ottica prettamente numerica sembrerebbe che l’italia non se la cavi male da questo punto di vista, nel 2021 sono state registrati infatti 36.939 agenti, a fronte di 52.453 detenuti, ovvero un agente ogni 1,4 detenuti, rapporto che se comparato a quello francese di 2,7 e quello spagnolo di 3,7, ci può tranquillizzare, ma cosa succede se guardiamo alla composizione dello staff, ovvero alla sua multidisciplinarietà?
Il dato si ribalta, in Europa la media degli educatori all’interno del team sono il 3,3% dell’equipe, in Italia solo l’1,9%, questo si traduce in una minore offerta educativa fondamentale per la funzione rieducativa.
Riprendendo l’indagine dell’International Journal of environmental research and public health, una delle proposte messe in evidenza recita:
"Per certi aspetti, il modello spagnolo è molto avanzato. I poliziotti che lavorano in quel sistema sono 15.000, noi ne abbiamo 45.000; però in Spagna ci sono più di 7000 persone qualificate come operatori, cioè educatori, psicologi, assistenti sociali, mediatori... quindi non significa che si svuota il carcere togliendo i poliziotti, piuttosto si rafforza il carcere lasciando che altre figure in. Ci deve essere una massa di personale che entra e si sostituisce alla polizia penitenziaria, non nei compiti di vigilanza, ma nei compiti di coinvolgimento, di empowerment”.
Un altro fattore da tenere in considerazione è quella che viene chiamata “Sindrome del burnout”, Il burnout è una sindrome comportamentale disfunzionale che si delinea quando un individuo inserito in un’organizzazione risponde a stimoli ambientali in maniera abnorme, creando disagio psicologico individuale ed organizzativo, l’articolo di Marco Baudino mette in evidenza come la sindrome del burnout sia un fenomeno diffuso nelle carceri italiani secondo lui infatti “la rigidità dei ruoli affidati ai singoli che ne determinano l’alienazione, connessa anche alla sollecitazione di richieste plurime da parte dell’ambiente, con conseguente sentimento di frammentazione ed isolamento dell’operatore.
CAPITOLO TERZO: Perchè dovremmo occuparcene?
Perché stiamo violando le leggi della Corte Europea dei Diritti Umani.
Un importante esempio è il caso Torreggiani e altri contro Italia, del 2013, dove ci sono stati 7 ricorsi contro l’ordinamento italiano, a causa della violazione dell’articolo 3 della CEDU, di cui parleremo tra poco, a Busto-Arsizio (in provincia di Varese) e a Piacenza.
In queste carceri erano presenti condizioni degradanti, già illustrate, come la mancanza di spazio, di illuminazione e la limitazione d’acqua.
Durante questa causa,la CEDU ha compreso che il problema in Italia era sistemico, risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, motivo per cui ha deciso di applicare la sentenza pilota. La sentenza pilota è una procedura che permette alla Corte di identificare un problema strutturale, rilevabile in casi simili, come il caso Stella contro Italia del 2014, congelando altri casi simili, in attesa di una pronuncia della Corte e permettendo allo stato contraente la possibilità di sanare la propria posizione prima di ulteriori condanne.
Il governo italiano, nonostante le varie opportunità date, continua a violare l’articolo 3 della Corte Europea dei Diritti Umani, il quale dichiara che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”, oltre a violare la propria costituzione, secondo l’articolo 27 comma 3, ossia che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato e secondo l’articolo 13, in quanto la libertà personale è inviolabile.
Come possiamo ridurre il sovraffollamento delle carceri, in modo tale da evitare ulteriori sanzioni da parte della CEDU, permettendo allo stesso modo al carcerato un trattamento umanitario?
Già nel 2017, i deputati del parlamento europeo raccomandano l’adozione di pene alternative al carcere, come la detenzione domiciliare, i lavori socialmente utili o il braccialetto elettronico. L’Italia sostiene il primato in Europa per numero di persone detenute per violazione della normativa in materia di stupefacenti, quasi doppia alla media europea del 18%, alle quali si potrebbe per esempio o applicare una pena alternativa, come la detenzione domiciliare o ridurre la pena, che è dai 6 ai 20 anni, dato che nemmeno la pena di stupro, essendo da 5 a 10 anni, prevede così tanto tempo nelle carceri, nonostante sia un problema alquanto più grave.
L’ordinamento Penitenziario italiano, inoltre, individua tre tipi di misure alternative:
- l'affidamento in prova al servizio sociale, ossia quella sanzione penale che consente al condannato di espiare la pena detentiva inflitta o residua in regime di libertà assistita e controllata, sulla base di un programma di trattamento.
- la semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
- la detenzione domiciliare, che consiste nella possibilità di scontare la condanna nella propria abitazione o in altro luogo di pubblica o privata dimora.
L’affidamento in prova è la misura che ha sempre presentato i numeri più alti, ma come possiamo vedere, dal 2010, i numeri della detenzione domiciliare hanno cominciato a crescere in misura ben maggiore, tanto da avvicinarsi a quelli dell’affidamento. Allo stesso tempo notiamo che la semi-libertà è la misura meno adottata e i cui numeri sono lievemente scesi nel tempo.
CONCLUSIONI
Tentiamo infine di tirare le somme, In quest’articolo è emerso come il sovraffollamento nelle carceri seppur non più al livello del decennio scorso, rappresenta ancora tutt’oggi un problema diffuso in tutte le zone d'italia, abbiamo visto infatti come se andiamo ad analizzare i dati regionali alcune di esse superino di gran lunga la capienza massima consentita. Abbiamo analizzato anche gli altri problemi legati al mondo del carcere, la carenza di personale specializzato, le scarse opportunità di reinserimento in società e la grande problematica della “formazione” delinquenziale all’interno del carcere.
Il problema è a nostro avviso, ancora oggi, troppo sottovalutato anche nei suoi aspetti più pratici, “Ogni anno lo Stato italiano spende oltre 8 miliardi per l’amministrazione della
giustizia e il 35% di queste risorse finisce nel carcere” risorse investite in un sistema che non rieduca i cittadini, ma anzi rischia di educarli come criminali, senza considerare il problema etico delle condizioni disumane in cui molto detenuti sono costretti a vivere, fatti questi che come abbiamo citato anche l’Europa e le grandi organizzazioni dei diritti umani sottolineano.
Tuttavia lo scopo del nostro articolo non è solo quello di evidenziare i problemi di questa istituzione, ma anche far emergere le principali soluzioni o misure che dovrebbero essere adottate, riproponendo misure come pene alternative per i reati meno gravi, la depenalizzazione o la riduzione della pena per alcuni reati “minori”, ma anche misure all’interno del carcere come la redistribuzione della spesa, per l'ampliamento di personale multidisciplinare, che proponga progetti e interventi per il progressivo reinserimento in società.
Gaia Foschi, Gabriele Consolini
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